di Stefano Di Maria
MOSTRO – LA STORIA DI JEFFREY DHAMER si è rivelato un successo mondiale. Basti pensare che, secondo quanto riferito nei giorni scorsi da Deadline, nella prima settimana si è registrato uno streaming di 196 milioni di ore, salite nella seconda settimana a 299 milioni.
Eppure lo show è stato pubblicato senza battage pubblicitario. Certo al successo hanno contribuito le polemiche. A partire dalle associazioni LGBTQ, che hanno chiesto a Netflix di rimuovere il tag “gay” perchè non vogliono giustamente essere identificate con la storia di un cannibale omosessuale (richiesta prontamente accolta). Ci sono poi state le contestazioni dei familiari delle vittime, che hanno trovato di pessimo gusto riaprire vecchie ferite con una serie di cui si poteva fare a meno.

Un fatto è sicuro: Ryan Murphy ha ancora fatto centro: con MOSTRO – LA STORIA DI JEFFREY DHAMER ha tracciato la nuova frontiera dell’horror psicologico. La sua versione della storia del mostro di Milwaukee è un ricostruzione sì fedele ai fatti ma molto introspettiva: il creatore e regista è più interessato alla mente dell’assassino, alla sua vita e alla sua formazione, piuttosto che alle sue azioni terrificanti. Tanto che, benché Jeffry Dhamer sia noto come il cannibale di Milwaukee, soltanto in una scena si vede mentre cucina in padella carne umana. Chi si aspetta sangue e corpi squarciati, dunque, rimarrà deluso.
MOSTRO, LA STORIA DI JEFFREY DHAMER – LA VICENDA

MOSTRO, LA STORIA DI JEFFREY DHAMER – LA RECENSIONE
Evan Peters, enfant prodige “adottato” da Ryan Murphy fin dalle prime stagioni di AMERICAN HORROR STORY, è qui alla sua migliore prova attoriale. E’ evidente, da come interpreta Dhamer, che ha studiato attentamente il suo personaggio: parla come lui, si muove come lui, nei suoi occhi c’è la lucida follia di un serial killer che non aveva pietà per nessuna delle sue vittime: ragazzi gay adescati nei locali della città. Peters fa venire i brividi, ma non è da meno il ragazzino che interpreta Dhamer da adolescente, quando sventrava i corpi degli animali col padre (inconsapevole delle conseguenze psicologiche che avrebbe generato sul figlio, poi segnato dall’abbandono di genitori disfunzionali). La serie analizza, attraverso la biografia del serial killer, come le sue esperienze di vita possano avere influenzato la sua devianza mentale, pur lasciando il dubbio che quella di Dhamer fosse una predisposizione genetica a commettere crimini così efferati.

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