di Stefano Di Maria
Continuano le delusioni Netflix di questo mese infausto. SCOMPARSA A LORENSKOG, disponibile con cinque episodi da 50 minuti, si prospettava come l’avvincente ricostruzione di uno dei gialli più clamorosi della storia norvegese, invece si è rivelato una miniserie con un capo ma senza coda (tutt’oggi il caso non è stato risolto ma poteva essere raccontato molto meglio), all’insegna di una noia che farà perdere molti spettatori per strada.
SCOMPARSA A LORENSKOG – LA TRAMA
La scomparsa di Anne-Elisabeth Hagen nel 2018 ha scioccato un’intera nazione. Questa serie fiction si concentra sugli investigatori, i giornalisti e gli avvocati che sulla scia del rapimento vengono risucchiati in un vortice di teorie, congetture e indiscrezioni.
Il mistero continua a rimanere irrisolto e i personaggi scopriranno fino a dove sono disposti a spingersi per trovare la verità. Questa serie rivela quanto siamo suscettibili all’elaborazione di conclusioni affrettate in mancanza di una risposta definitiva.
SCOMPARSA A LORENSKOG – LA RECENSIONE
La vicenda della povera Anne-Elisabeth Hagen avrebbe potuto essere raccontata come in THE STAIRCASE, serie Sky che tratta la storia vera della morte della moglie di un noto scrittore, creando il coinvolgimento emotivo dello spettatore. Invece va in tutt’altra direzione: narra i fatti nudi e crudi, il che sarebbe un pregio, ma come fosse un documentario, con una scrittura così asciutta da non creare la benché minima empatia nello spettatore. L’inevitabile conseguenza è il rischio di non finire nemmeno il primo episodio o quanto meno di abbandonare la serie al secondo, oltre tutto per una lentezza evidente fin dalle prime battute. Non c’è ritmo, non c’è tensione se non in rare situazioni.
Un’occasione sprecata per i registi Erik Skjoldbjaerg e Gjyljeta Berisha, che avrebbero potuto realizzare uno show avvincente ma hanno preferito virare nel procedurale nudo e crudo. Se il loro obiettivo era espatriare una storia sconosciuta al di fuori dei confini norvegesi e stimolare lo spettatore a prendere posizione su questo o quei colpevoli, gli autori ci sono riusciti. Resta anche indubbio che il cast sia di livello, così come la fotografia, che cristallizza i paesaggi nordici e scorci della città di Oslo: ma si limita tutto a questo e a qualche riflessione sul ruolo della stampa in circostanze simili, nelle quali il confine fra interesse pubblico (l’informazione) e l’interesse investigativo (tutelare le indagini) è labile.
VOTO: 2 su 5
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